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La crociata di sir Clarke

 

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La crociata di sir Clarke

L'ambasciatore che amava Venezia più di Londra
Fondatore e animatore di «Venice in Peril» trovò denari e finanziò restauri. Dando uno scossone all'apatia dei veneziani

di Michele Gottardi

Si dice che quando, verso la fine degli anni Sessanta, sir Ashley Clarke iniziava a dannarsi l'anima per raccogliere denari e solidarietà verso Venezia, da Ca' Farsetti giungevano ripetute manifestazioni di stizza verso quella che, agli occhi degli amministratori di allora, appariva come un'indebita intromissione: «ma cossa credelo, 'sto inglese, che nò semo boni a salvarse da soli?». In realtà l'ex ambasciatore di Sua Maestà Britannica d'un lato e gli ambienti vicini alla giunta avevano, ognuno a modo loro, colto nel segno: la città, colpita dall'aqua granda del 1966, non mostrava particolari segni di risveglio. A differenza di Firenze, dove l'eccezionale piena dell'Arno aveva danneggiato irreparabilmente palazzi e opere d'arte, archivi e musei, lasciando nelle strade e negli scantinati fiumi di fango, a Venezia l'acqua si era ritirata e con essa buona parte dell'emozione dei primi momenti.
Proprio per questo Clarke si era reso conto che occorreva un maggior impegno internazionale verso Venezia: per Firenze si era trattata di un'emergenza, a Venezia l'acqua alta, l'inquinamento di Porto Marghera e degli agenti atmosferici erano ordinaria amministrazione. L'amore per Venezia era nato a dispetto dei buoni propositi. Clarke amava ricordare che nel suo immaginario di giovane british la città era il luogo che non avrebbe mai voluto vedere, men che meno abitarci.


Carriera prestigiosa

«La colpa era di mia nonna Arabella, che ne era innamorata pazza. Faceva a mia sorella Ruth e a me una testa così. Ci sottoponeva a lunghi racconti. Perciò noi eravamo totalmente contrari all'Italia e a Venezia», ricordò una volta. Poi divenne ambasciatore a Roma, nel 1953, e le cose cambiarono e Ashley Clarke divenne attento conoscitore della realtà nazionale, al punto da convincere il Foreign Office della necessità della sua permanenza nella sede romana, per ben nove anni. Ashley Clarke nasce nel 1903, a Stombridge, in Inghilterra. Laureato a Cambridge, entra molto presto in diplomazia, negli anni Trenta, a poco più di vent'anni. Qui svolge un carriera prestigiosa, scalando progressivamente incarichi e sedi sempre più prestigiose: Budapest, Varsavia, Istanbul, la Lega delle nazioni a Ginevra, antenata dell'Onu, Tokyo, Lisbona, Parigi. Durante la seconda guerra mondiale rientra a Londra, per dirigere il personale, capo dell'amministrazione del Foreign Office. Quindi, dopo il conflitto, l'incarico italiano, dal 1953 al 1962. «Un periodo di tempo inusuale per la lunghezza, anche in quegli anni», spiega l'ambasciatore Paolo Galli, «determinato dall'abilità di Clarke di comprendere la realtà politica e sociale di un'Italia che stava rinascendo, economicamente e culturalmente, dopo la tragedia del fascismo e della guerra. Fu uno dei primi diplomatici al mondo a capire che il ruolo stava cambiando e che a fianco delle vecchie funzioni classiche, l'ambasciatore doveva unire un'abilità di penetrazione della società e della cultura del paese che lo ospitava». Proprio questa intelligenza, unita a una grande cultura, basata su una spiccata sensibilità artistica che lo portava a suonare egregiamente il piano e a occuparsi di arte in molteplici accademie inglesi e italiane, lo radicò definitivamente nel nostro paese. Così, quando andò in pensione (gli ambasciatori di Sua Maestà la raggiungono a sessant'anni), l'idea dell'Italia continuò a prenderlo, come una sorta di romantico spleen, nella residenza di Walton Street e nonostante i molteplici impegni che assunse al rientro a Londra. «Fu un uomo di grande classe e cultura», continua Galli, ambasciatore italiano nel Regno Unito in quegli anni. «E come tutti gli ambasciatori in quiescenza, continuò a lavorare. Solo che la sua azione non si rivolse alle banche o alle assicurazioni (anche se fu nel Board delle Assicurazioni Generali e London Adviser della Commerciale, per i suoi legami italiani, ndr), ma alla cultura. Divenne governatore della
BBC (1962-1967), presidente della Royal Academy of Music e dell'analoga Royal Academy of Dancing, entrò nel Board del Victoria e Albert Museum, soprattutto fece parte della British Italian Society, in quel tempo importantissimo tramite per gli italiani che volevano entrare nella jet society londinese».
E' buona abitudine del personale diplomatico anglosassone mantenere contatti con i paesi dove si passa un certo periodo. Così, naturalmente, nel '66, Clarke diviene il chairman dell'Italian Art and Archives Rescue Fund e in questa veste inizia a darsi da fare per Firenze. E' a questo punto che avviene la scelta di Venezia, una folgorazione antica per i suoi connazionali, da lord Byron a Turner, a John Ruskin, che unisce ora l'eccezionalità del momento. Nel 1971 nasce "Venice in Peril Fund", quasi una prosecuzione dell'altra fondazione, di cui sir Ashley sarà cofondatore e poi presidente. «Fu straordinaria l'enorme quantità di persone e di denaro che riuscì a raccogliere», conclude Paolo Galli. Clarke si stabilisce a Venezia, alternando la residenza londinese a quella in fondamenta Bonlini, a Dorsoduro, nei pressi dello squero di San Trovaso: da qui con l'aiuto di amici (tra cui soprattutto lord Norwich e lady Malagola Thorneycroft, il sovrintendente Francesco Valcanover) e dell'inseparabile Frances, la seconda moglie, inizia quel lavoro di restauro e di protezione della realtà veneziana che troverà la sua consacrazione nel riconoscimento dell'Unesco e dei Comitati Privati, di cui sarà alla guida per un ventennio, sino al 1986. Già nel 1967, nella chiesa di san Gregorio, contribuisce con l'aiuto di esperti della National Gallery e della Sovrintendenza alle Gallerie dell'Accademia, alla creazione di un moderno laboratorio di restauro; l'anno successivo, con i fondi raccolti in Inghilterra, inizia il restauro della Madonna dell'Orto, mentre il primo lavoro cui si dedica con il Venice in Peril è l'accurato intervento di pulizia della Loggetta del Sansovino.
A questo seguiranno gli esperimenti sulla pietra, nelle Procuratie vecchie, il restauro della Porta della Carta, sino al recupero di San Nicolò dei Mendicoli. «Ashley seguiva tutto personalmente, non era uomo da deleghe» ricorda Alvise Zorzi, successore di Clarke alla guida dei Comitati Privati. «Molto inglese nei modi e nei tratti, garbato e gentile, era altrettanto forte e rigido nella sostanza. Forse anche per questa determinatezza, la sua azione ebbe successo». Ma tra le sue battaglie non vi furono solo i monumenti: «uno dei suoi più grandi impegni fu scongiurare l'Expo, così come ebbe sempre a cuore il processo di spopolamento e di conseguente snaturamento della realtà veneziana. Oggi sarebbe sconvolto dalla perdita di identità della città, dall'inquinamento turistico che l'ha trasformata in un'immensa locanda», continua lo storico veneziano, che lo stesso sir Ashley designò come successore naturale in queste battaglie.


Sangue veneziano

Negli anni settanta la città iniziò ad accorgersi di questo inglese che aveva elevato Venezia a seconda patria, dove scendeva dalle nebbie del Tamigi, ogni primavera. Dopo la presidenza della Dante Alighieri, venne la nomina a socio onorario dell'Ateneo Veneto (1972): proprio qui sotto la presidenza di Pietro Zampetti, ricevette il primo premio Torta per il restauro (1974), cui seguirono altre onorificenze. Dalla laurea honoris causa di Ca' Foscari al cavalierato di san Marco, dal Paul Harrys Fellow del Rotary al Veneziano dell'anno, che la Settemari gli assegnò alla memoria, poco dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1994. Ma quale fosse il suo sentimento nei confronti di Venezia lo chiarisce bene un commento, flemmaticamente inglese, che pronunciò all'indomani della consegna della cittadinanza onoraria, a Cà Farsetti: «questo non lo dovevano fare, perché io ho sangue veneziano nelle vene», riferendosi ironicamente alle numerose trasfusioni, eseguite negli ospedali lagunari, per far fronte alla malattia che accompagnò i suoi ultimi anni.
Tratto dal Mattino di Padova


 


 

 

 

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