Ramanujan: quell'indiano che stup?Cambridge

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Quell'indiano che stup?Cambridge
di ROBERT KANIGEL
Esce da Rizzoli L'uomo che vide l'infinito di Robert Kanigel. Ne pubblichiamo parte del prologo.

RamanujanIn un giorno d'estate del 1913, un ventenne bengalese proveniente da un'antica famiglia benestante di Calcutta se ne stava in piedi nella cappella del King's College, nella medievale cittè universitaria di Cambridge, in Inghilterra. Questo luogo illustre dalle dimensioni grandiose, più cattedrale che cappella, era opera di tre re d'Inghilterra e risaliva al 1446. Prasantha Chandra Mahalanobis era sbalordito. Sbarcato da poco dall'India con l'intenzione di studiare a Londra, era salito sul treno per trascorrere una giornata in visita a Cambridge, ma ora, perso l'ultimo treno per tornare a Londra, era rimasto ospite presso alcuni amici e non riusciva a smettere di parlare della cappella e delle sue bellezze, di quanto si fosse commosso, di quanto... Forse, propose un amico, avrebbe dovuto lasciar perdere Londra e andare, invece, al King's College.

A Mahalanobis era bastato sentire queste parole. Il giorno seguente si era incontrato con il rettore e subito, con suo grande stupore e delizia, era diventato uno studente del King's College di Cambridge. Era a Cambridge da sei mesi quando il suo tutor di matematica gli chiese: "Ha incontrato il suo meraviglioso compatriota Ramanujan?". Non l'aveva ancora incontrato, ma aveva sentito parlare di lui. Ramanujan era un prodigio matematico autodidatta proveniente da una città alla periferia di Madras, nell'India meridionale, a circa 1600 chilometri dalla sofisticata Calcutta, che Mahalanobis conosceva benissimo, un mondo diverso dal suo tanto quanto il mondo di Mahalanobis era diverso dall'Inghilterra.

Il sud, per come erano abituati a vederlo i colti indiani del nord, era arretrato e superstizioso, appena sfiorato dall'illuminata razionalit?di Bombay e Calcutta. Eppure, in qualche modo, da questo luogo e da una famiglia povera, proveniva un matematico così geniale che gli inglesi l'avevano praticamente condotto per mano fino a Cambridge, perché condividesse le sue doti con gli studiosi del Trinity College e imparasse tutto ci?che loro potevano insegnargli. Tra i college dell'Universit?i Cambridge, il Trinity era il più grande, e quello con il retaggio più illustre, la fucina di re, geni e poeti.
Lo stesso Isaac Newton aveva studiato qui e fin dal 1755 nella cappella si trovava la sua statua di marmo, con in mano il prisma da lui utilizzato per analizzare la natura policromatica della luce. Lord Byron aveva studiato al Trinity, e così Tennyson, Thackeray e Fitzgerald, e ancora lo storico Macaulay, il fisico Rutherford e il filosofo Bertrand Russell, e anche cinque primi ministri inglesi. E adesso, anche Ramanujan era al Trinity. Ben presto Mahalanobis lo incontr?e i due divennero amici. La domenica mattina, dopo colazione, facevano lunghe passeggiate, parlavano di vita, filosofia, matematica. Ripensandoci successivamente, Mahalanobis fece risalire la nascita della loro amicizia a un giorno dell'autunno successivo all'arrivo di Ramanujan.

Era andato a trovarlo nel suo alloggio sulla Whewell's Court, un formicaio di stanze di pietra su tre piani costruito intorno a un quadrato d'erba, ornato da finestre con archi a sesto acuto e interrotto a tratti dalle scalinate che portavano alle stanze. Uno di questi portali conduceva al piccolo appartamento di Ramanujan, al pianterreno, a pochi passi dalla corte erbosa. A Cambridge era arrivato il freddo, e quando Mahalanobis entr?vide Ramanujan che, con il suo viso carnoso e butterato, sedeva rannicchiato accanto al fuoco.

Ecco l'orgoglio dell'India, l'uomo per il quale gli inglesi avevano mosso mari e monti pur di portarlo a Cambridge. Ma gli accurati preparativi erano andati a monte. Correva l'ignobile anno 1914 e l'Europa era entrata in guerra. I graziosi chiostri arcuati della Nevile's Court, l'impronta immortale di Sir Christopher Wren sul Trinity, erano diventati un ospedale da campo. A migliaia erano già partiti per il fronte. Cambridge era deserta. E fredda. "Stai caldo, la notte?" chiese Mahalanobis quando vide Ramanujan accanto al fuoco. No, rispose il matematico della sempre calda Madras, dormiva con il cappotto addosso, avvolto in uno scialle. Pensando che l'amico non avesse coperte a sufficienza, Mahalanobis and?nella stanzetta da letto sull'altro lato del camino venendo dal salotto.

Il copriletto era fuori posto, come se Ramanujan si fosse appena alzato. Le coperte, per? erano assolutamente intatte e accuratamente rimboccate sotto il materasso. S? Ramanujan aveva coperte a sufficienza. Il problema era che non sapeva cosa farci. Con dolcezza e pazienza, Mahalanobis gli fece vedere come sollevarle, farsi una piccola nicchia, scivolarci dentro... Per cinque anni, tenuto lontano dall'India a causa della guerra, Ramanujan rimase nell'estranea, fredda e distante Inghilterra, a costruire, con i suoi ventuno scritti principali, un'eredit?matematica duratura. In seguito sarebbe tornato a casa in India, accolto da eroe, e l?sarebbe morto. "Srinivasa Ramanujan" avrebbe detto in seguito di lui un inglese "era un matematico così grande che il suo nome trascende le invidie, l'unico matematico straordinariamente grande che l'India abbia generato negli ultimi mille anni".

Ancora oggi, settant'anni dopo la sua morte, i suoi salti intuitivi confondono i matematici. I suoi scritti vengono ancora scandagliati per stanarne i segreti. I suoi teoremi vengono applicati in settori difficilmente immaginabili quando lui era in vita, come la chimica dei polimeri, l'informatica e persino l'oncologia, come ?stato proposto di recente. E sempre ricorre la fastidiosa domanda: cosa sarebbe accaduto, se fosse stato scoperto qualche anno prima o avesse vissuto qualche anno di più Ramanujan era un uomo semplice. I suoi bisogni erano semplici. E così i suoi modi, il suo carattere. Non era uno sciocco erudito.

Era intelligente anche in ambiti estranei alla matematica, era tenace, si impegnava duramente nel lavoro, e a suo modo aveva anche un certo fascino. Ma sotto lo sguardo di Cambridge o, se per questo, anche sotto quello di Calcutta o Bombay, era estremamente limitato e ingenuo. Una piccolezza come la lezione di Mahalanobis sull'arte di mettersi sotto le coperte poteva lasciarlo "profondamente commosso". Si sentiva umiliato dall'offesa più insignificante.

Le sue lettere, al di l?del contenuto matematico, mancano di grazia o di acume. In questo libro mi propongo di raccontare la storia di Ramanujan, la storia di un intelletto imperscrutabile e di un cuore semplice. E' una storia dello scontro culturale tra l'India e l'Occidente, tra il mondo della Sarangapani Sannidhi Street di Kumbakonam, nell'India meridionale, dove Ramanujan era cresciuto, e il luccicante mondo di Cambridge, tra le primitive dimostrazioni della tradizione matematica occidentale e i misteriosi poteri intuitivi con cui Ramanujan abbagli?allo stesso modo Oriente e Occidente.

E' la storia di un uomo e della sua fede ostinata nelle proprie capacità Ma non è una storia che finisce con il "il genio trionfer?quot;, anche se quello di Ramanujan, nel complesso, trionf? Infatti manc?così poco perché gli eventi si svolgessero diversamente, che non ci serve chiss?quale immaginazione per capire che un minimo di perseveranza o di fortuna in meno avrebbero potuto relegarlo nell'ombra. Perci? in un certo senso, questa è anche una storia di sistemi sociali ed educativi, del peso che hanno e del modo in cui possono a volte alimentare e a volte soffocare il talento.

Quanti Ramanujan, la vita ci implora di chiederci, vivono oggi in India, ignoti e ignorati? E quanti altri in America e in Gran Bretagna, isolati in ghetti razziali o economici, a malapena consapevoli dei mondi al di fuori del loro? Questa è anche una storia su cosa fare del genio una volta che lo si ?trovato. Ramanujan venne condotto a Cambridge da un matematico inglese dai modi aristocratici e dalle ineguagliabili credenziali accademiche, G.H. Hardy, cui Ramanujan aveva scritto in cerca di aiuto. Hardy comprese che Ramanujan era un fiore raro, di un genere inadatto a tollerare di essere metodicamente rimpinzato di tutta la conoscenza matematica che non aveva mai acquisito in India.

"Temevo" scrisse "che se avessi insistito eccessivamente su questioni che Ramanujan riteneva seccanti avrei potuto annientare la sua fiducia e spezzare l'incantesimo della sua ispirazione". Ramanujan era un uomo cresciuto pregando divinit?di pietra, che per la maggior parte della sua esistenza chiese consiglio a una divinit?domestica sostenendo che le sue intuizioni fossero dovute a lei, un uomo i cui teoremi sarebbero stati dimostrati al prezzo di una immane fatica intellettuale, e che comunque avrebbero lasciato i matematici nella frustrazione per l'impossibilitè anche solo di capirci qualcosa. Perci? questo è anche un libro su una mente singolare e fuori dal comune, e su ci?che le sue arguzie possono lasciare intendere in fatto di creativit? intuizione e intelligenza.


Tratto dal quotidiano la Repubblica